Mi piace molto riconoscermi nelle mie figlie e, insieme, sentire che loro ce la mettono tutta per essere diverse da me (…) io le guardo e vedo, a volte con compiacimento, a volte con allarme, me stessa nei loro corpi, nella tonalità della voce. Brani di me trascorrono per pochi secondi in loro, e faccio appena in tempo a riconoscerli (…)
(Elena Ferrante, Figlie)
Quando cammino insieme a mia figlia, mi sorprendo a ripensare a mia madre, penso alle volte in cui si prendeva cura di me accompagnandomi in qualche posto, coltivando il mio tempo come fosse il suo.
Ho visualizzato nella mente la relazione con mia madre attraverso la storia delle nostre passeggiate: quando ero molto piccola una breve passeggiata - che al tempo mi sembrava lunghissima - era piena di spunti ed eccitazione, non pensavo al suo passo, ero immersa nel mio, mi fermavo ogni volta che potevo per osservare e curiosare, mia madre spariva dietro i miei passi di bimba, i suoi passi mi avvolgevano come un lungo cappotto di cui non ci si stanca mai. Poi sono diventata adolescente: i miei movimenti e quelli di mia madre sono entrati in contrasto, lei ha cominciato a sembrarmi lenta, troppo goffa al momento di pagare al supermercato, eccessivamente meticolosa nell’inserire il pin, troppo formale con le commesse o estremamente loquace con gli abitanti del quartiere. Adesso vivo una terza fase, quando cammino insieme a mia madre la necessità di essere veloce perde importanza, cerco di adattarmi alla sua lentezza e pian piano la assaporo, in un certo senso ho scoperto il piacere del tempo lento tramite il suo invecchiamento.
Quando cammino con mia figlia, penso a mia madre. Quando cammino con mia madre, penso a mia nonna, al modo svelto e nervoso che aveva di camminare per dirsi sempre occupata, una donna che non teme la fatica, una vera casalinga, una che non si lamenta, una che non perde tempo; il modo che mia nonna aveva di calpestare il marciapiede è tipico nelle donne della sua generazione. Se mi concentro mi sembra quasi di vedere la mia bisnonna e tracciare una linea che unisce i nostri modi di camminare nel tempo, per dirci simili ma anche opposte, per sentire di essere state sulla stessa strada, di esserlo ancora in una realtà parallela.
La necessità di allontanarsi dal modello della propria madre e il senso di colpa che deriva da questo movimento interiore è un tema universale molto caro al femminismo. Detestare le nostre madri ci costa molte energie e ci allontana dal coraggio necessario per conoscere e amare noi stesse.
Moltissime figlie condividono il desiderio di sentirsi diverse dalle proprie madri, questo distacco passa anche attraverso elementi fisici: il modo di camminare è un piccolo tassello che sottolinea la nostra capacità di prenderci spazio nel mondo.
In un certo momento dell’età adulta mi sono lasciata alle spalle quella necessità di superamento, tutte noi intraprendiamo questo viaggio interiore, il più interessante che potremo mai percorrere. Lo descrive benissimo Maureen Murdock nel suo Il viaggio dell’Eroina.
Progredendo attraverso le fasi del suo sviluppo e iniziando a comprendere le radici della sottovalutazione femminile, la donna si rende conto che la madre non è la causa del proprio senso di inadeguatezza, ma è semplicemente un comodo bersaglio al quale attribuire la confusione e la scarsa autostima che caratterizzano molte figlie in una cultura che glorifica la mascolinità (…) Le donne che erano madri negli anni Quaranta e negli anni Cinquanta non avevano molte opportunità di perseguire i propri obiettivi (…) È compito delle loro figlie, quindi, ricucire e guarire le loro ferite femminili.
(Maureen Murdock, Il viaggio dell’Eroina)
Sei come me, quante volte ho pensato di dirlo a mia figlia, quante altre l’ho detto pentendomene subito dopo. Quante volte me lo ha detto mia madre, quante volte mi sono ribellata a questa frase che suona come un incantesimo. Quanta rabbia inespressa ho letto nello sguardo di mia madre mentre litigava con la nonna senza alzare la voce, si dimostrava in disaccordo con il potere dello sguardo.
Sei come me, non puoi far nulla per andar lontano.
Molte madri mandano alle figlie messaggi contraddittori e ambivalenti come “non essere come me ma sii come me”
(Maureen Murdock, Il viaggio dell’eroina)
Ho 41 anni e tra l’egoismo e l’ambivalenza di cui sono fatte le formule magiche che ereditiamo dalle nostre madri, proprio quelle che a volte sembrano non lasciar via di fuga, oggi scorgo soprattutto amore.
Le formule magiche che ereditiamo dalle nostre madri sono magie buone, possiamo trovare l’antidoto per sentirci legate a loro e al tempo stesso libere di trovare la nostra strada.
Il ricordo
Ho 17 anni e sono in fila al laboratorio di analisi del mio quartiere, devo controllare la quantità di ferritina nel mio sangue su suggerimento di mia madre.
«Sei come me, sei anemica».
Fin da piccola mia madre ha avuto carenze di ferro, le davano grosse bistecche al sangue o così cotte da farle assomigliare alle suole delle scarpe. Ovviamente non le piacevano ma non poteva lamentarsi o dirlo e basta perché le era stato insegnato ad essere una bambina buona e silenziosa; la leggenda familiare narra che mia madre nascondesse le bistecche nel terriccio dei vasi così le piante crescevano rigogliose e lucenti mentre mia madre rimaneva pallida e magra.
Anche io sono stata una bambina molto magra e come mia madre odiavo la bistecca, invece di nasconderla tra le piante però urlavo tutto il mio disgusto, il gene della ribellione ha sempre fatto parte di me.
Arrivano i risultati delle analisi, li ritiro da sola il pomeriggio successivo al prelievo, mi siedo su una panchina e leggo il referto prima di tornare a casa. Non risulto anemica.
Non lo sarò mai, neanche da incinta.
«Sei come me, sei anemica». Ho detestato questa frase e per lungo tempo l’ho combattuta, l’ho rinfacciata a mia madre a distanza di anni spesso con un filo di cattiveria, avrei potuto non farlo ma la tentazione di sentirmi migliore ha sempre prevalso.
Di recente, proprio mentre accompagnavo mia figlia ad una visita medica, mi è capitato di ripensarci e ho capito. Solo adesso ho capito.
In quel Sei come me, mia madre riponeva il suo desiderio più furente, quello di proteggermi, la volontà ferrea di proteggermi nell’unico modo che tutti conosciamo, ovvero utilizzando i mezzi di cui disponiamo.
Posso combattere la tua anemia, perché la conosco. Posso prendermi cura di ciò che conosco, non posso curare ciò che è fuori dal mio controllo.
«Sei come me» nel linguaggio d’amore delle madri significa: posso proteggerti.
Anch’io mi sono sentita altro da mia madre e ho cacciato via il suo tempo per fare spazio al mio. La crudeltà degli ultimi arrivati, quando entrano nella fase in cui si sentono i primi venuti al mondo, è necessaria (…) Mi auguro che le mie figlie siano così a lungo. Poi - è nell’ordine naturale delle cose - invecchiando faranno posto a un po’ di passato, e mi ritroveranno dentro di loro, scopriranno dettagli fisici, guizzi caratteriali, pensierini miei, mi accoglieranno con affetto. Come è successo a me con mia madre, non avranno più paura di essere se stesse, pur essendo anche un po’ me.
(Elena Ferrante, Figlie)
Se penso al futuro di mia figlia e a tutto ciò che non potrò capire e controllare negli anni che verranno, comprendo il desiderio di illusione di mia madre, quel suo istinto desideroso di raffigurarmi a sua immagine e somiglianza.
La scintilla
I passi che ho citato di Elena Ferrante vengono da una raccolta di cui parlo spesso, il mio personale libro delle risposte: si chiama L’invenzione occasionale. I brani a me più cari sono Figlie, Madri e Donne che scrivono.
Ho visto un film di cui si sta parlando molto (almeno nella mia bolla): Nightbitch scritto e diretto da Marielle Heller, interpretato magnificamente da Amy Adams. Il tema è la trasformazione della maternità, rabbia materna e alienazione. Ti lascio la recensione di Singolare, femminile di cui ho adorato l’intro: «Alfred Hitchcock avrebbe amato Amy Adams. Avrebbe adorato il suo pallore da cigno e i suoi capelli fatali, avrebbe avvertito il vulcano sotto il ghiaccio, avrebbe ammirato quel volto che combina la bellezza fredda di Grace Kelly col sorriso stregato di Elizabeth Montgomery. L’avrebbe imposta come perfetta eroina, radiosa e vulnerabile, la bionda in pericolo, la moglie infedele, l’oggetto di un tentativo di omicidio.
Ma non questa volta». No, non questa volta.
Il lato oscuro della maternità e del legame madre-figlia è un tema che mi sta a cuore. Lo ritrovo spesso nelle amate fiabe, grazie alle quali riusciamo ad affrontare l’indicibile. Scrive Maria Tatar nel suo libro La più bella del reame: «Perché ci sono così tante madri (e matrigne) fredde e calcolatrici in quelle storie che un tempo facevano parte del bagaglio narrativo degli adulti? Non sarà che ci offrono l’opportunità di parlare di cose altrimenti ritenute innominabili?»
Sono Serena Blasi, lavoro con le parole e con i ricordi. Studio e ricerco storie di figlie e di madri nella letteratura, nei film e nelle serie tv e creo percorsi di lettura per scoprire e tradurre le voci delle donne.
Una figlia per amica è una newsletter gratuita che richiede però molto lavoro, se ti va puoi offrirmi un cappuccino o ciò che più ti piace: il mio cuore ricco di citazioni ti sarà riconoscente.
Un grazie pieno di affetto ad Alice Fadda per le splendide illustrazioni.
Ditemi, madre mia, come si fa a uscire da qui? Non è perché me ne voglio andare, è solo una curiosità, infatti io sono contenta di stare con voi! Uscire da qui?, le dice la Mammadraga. E che ci vuole? Basta gettare un incantesimo su tutto quello che c’è in casa.
(Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco)
Ma quanto è bello e salutare parlare del rapporto con le nostre madri e riuscire ad analizzarlo nel contesto di una società fino all'orlo nel patriarcato? Da quando ho voluto iniziare a capire di più mia madre, osservandola nel suo essere donna (e non solo "mamma"), il nostro rapporto è cambiato. E secondo me stiamo meglio entrambe perché ci incontriamo da pari e con una base di esperienze comuni.
Grazie, Serena, per gli utilissimi spunti (vado a cercare "L'invenzione occasionale")
Che bello! E quanta tenerezza in quel che racconti e, soprattutto, in quei passi lenti e naturali di una scoperta capace, pian piano, di spegnere molte inquietudini e molti tormenti.
Grazie, Serena ❤️