Dopo il pranzo, gli uomini andavano come di consueto a fare un pisolino e noi, le donne, ci mettevamo a sparecchiare (…) E così iniziava una lunga seduta di tonificazione del cuore.
(Marjane Satrapi, Taglia e cuci)
Non potevo che inaugurare questa sezione con la perfetta citazione tratta dalla graphic novel Taglia e cuci di Marjane Satrapi. Qui troverete conversazioni tra amiche in vari formati: interviste, lettere, chiacchiere a pranzo. Partiamo proprio dall'amicizia, nostro patrimonio e tonificante naturale.
L'amicizia femminile è un terreno che non smetto di coltivare, ho iniziato da piccolissima con la mia vicina di casa: salivamo le scale del palazzo che portano ai ripostigli - la soffitta per noi - scrivevamo sulle pareti con gli uniposca comprati alla Standa, poi scendevamo nel giardino condominiale e giocavamo alle basi tra le siepi, tiravamo bombette ai nemici (i maschi): ci sapevamo difendere. Insieme eravamo qualcosa di riconoscibile agli occhi delle altre persone, una strana coppia di amiche: quelle che menano i maschi.
Poi c'è stata l'amica con cui ho cominciato ad uscire, la prima volta che abbiamo preso l'autobus da sole siamo scese, per sbaglio, in un posto che non avevamo mai visto senza genitori: era Ponte Bianco, dove c'era e ancora c'è l'Upim (Circonvallazione Gianicolense a Roma, per darti una mappa di lettura). Ricordo ancora quella sensazione di libertà nello scoprire di essere lontane da casa (non era vero, eravamo vicine, ma noi non lo sapevamo).
C'è stata l'amica del liceo, quella del patto con gli occhi al primo sguardo, ci siamo piaciute subito e ancora oggi ci sentiamo specchio l'una dell'altra e poltrona comoda dove sprofondare nei momenti oscuri.
Come ho accennato nel secondo episodio di Una figlia per amica, Tiziana de Rogatis nel suo Elena Ferrante. Parole chiave si sofferma sulla bellezza di un passaggio de L’Amica geniale: Ci prendemmo per mano e andammo. In questa prima persona motiva sta tutto il senso di un’amicizia femminile in movimento, capace di generare e trasformare sfidando lo stereotipo. Elena e Lila fanno dell'amicizia l'evento centrale delle loro vite; non buttano via niente di questo sentimento immenso che le unisce, neanche la gelosia, neanche l'invidia.
Non ho mai smesso di ricercare amiche, di stringere alleanze creative, professionali, che siano durature o temporanee, con altre donne. L'amicizia mi ha salvato la vita, non ho paura di dirlo. Perché mi ha salvato la vita? Perché mi ha permesso di far luce su aspetti della mia interiorità che non avrei visto da sola e, al tempo stesso, di scoprire angoli di mondo negli occhi delle altre, mondi che non abiterò mai, ma che conosco attraverso sguardi diversi dal mio.
Sara Mostaccio è un'autrice molto prolifica che scrive per lavoro e per passione, l'ho conosciuta durante una delle mitiche masterclass di Valentina Aversano. Sara per me è un'amica nuova, una persona che mi è piaciuta subito. Lei ha occhi che ridono e uno sguardo luminoso sulle cose, ma anche preciso e determinato. Le ho fatto qualche domanda per inaugurare questa sezione della newsletter.
Cara Sara, che cos'è per te l'amicizia femminile e come si è trasformata nel passaggio dalla Sara bambina alla donna che sei diventata?
«Le mie amiche sono una colonna portante della mia vita, non esagero se dico che se vengono a mancare la costruzione crolla. Non ne sono sempre stata consapevole ma da adulta mi sono accorta, guardando indietro, che i momenti brutti che ho affrontato da sola sono stati più terrificanti e quelli belli meno preziosi se non condivisi con loro. Pure a distanza, pure in differita, rendono tutto più significativo.
Le donne della mia vita hanno sempre coltivato l’amicizia tra donne, a partire da mia mamma, le mie zie e mia nonna. Non ricordo se qualcuna di loro mi abbia mai detto niente a proposito dell’amicizia ma da piccolissima le vedevo tutti i giorni riunirsi con le amiche e le vicine (e spesso le due cose coincidevano) per lavorare insieme. Erano quasi tutte sarte. Ognuna lavorava alle sue cose, sedute in cerchio, ora in una casa ora nell’altra. Chi cuciva, chi ricamava, chi disegnava modelli o appuntava spilli, senza smettere un momento di chiacchierare e raccontarsi. La testa era concentrata sul lavoro e le mani eseguivano ma i cuori, ora lo so, erano sintonizzati sulle altre. Succedeva tutto nelle cucine, tuttora il mio spazio preferito delle case.
Sono cresciuta in mezzo a questa piccola comunità di donne che contavano le une sulle altre e uso il verbo contare alla siciliana: nel mio dialetto cuntari significa sia contare che raccontare. Noi bambine e bambini ogni pomeriggio diventavamo fratelli e sorelle di una vasta famiglia di femmine. Ai loro discorsi non prestavamo orecchio, concentrati sui nostri giochi, ma quella vicinanza, quel porgersi sempre una mano e mettere in comune tempo, figli, creatività, parole, spazi, mi sono stati trasmessi.
Su come sia cambiato il mio modo di essere amica c’è stato un ribaltamento di prospettiva di cui so identificare il momento esatto. Da bambina e fino alla prima adolescenza sono stata un’amica che dava soltanto. Mi davo senza risparmio e non chiedevo niente. Non erano ingenerose le mie amiche, ero io che bloccavo la reciprocità, almeno quella più intima. Accettavo tutto quello che mi veniva offerto ma non lasciavo entrare nessuna dentro la mia parte più fonda e scura. Tendo tuttora a essere molto protettiva nei confronti della mia interiorità. Poi accadde un fatto che mi spezzò al punto che senza mani amiche rimettere insieme i pezzi sarebbe stato impossibile. Dirlo, chiederlo, era diventato imperativo, mi mancava il respiro per quanto ne avevo bisogno. Ho imparato ad aprirmi e mostrarmi fragile, anche brutta e sgradevole, a mostrarmi intera. E ho imparato a chiedere sostegno.»
Hai viaggiato tanto per lavoro e per piacere. C'è un incontro che vuoi regalarci? Una persona che ti porti nel cuore conosciuta in uno dei tuoi viaggi?
«Helena, una costumista polacca che ho incontrato su un treno tra Varsavia e Toruń. Abbiamo iniziato a chiacchierare per caso, tramite una terza persona, una viaggiatrice svizzera che chiedeva a tutte le persone a bordo dove andassero e perché. Saremmo scese alla stessa stazione. Io andavo a visitare la città in giornata da Varsavia, lei che a Varsavia vive e lavora andava a trovare i genitori per il weekend. Mi accompagnò in centro, poi decise di farmi compagnia per tutta la mattina e mostrarmi i suoi angoli preferiti, infine mi invitò a pranzo dalla sua famiglia e mi fece sentire un’amica che frequentava abitualmente la sua casa, i suoi genitori, come se non ci fossimo conosciute solo poche ore prima. Ci sentiamo ancora. La cosa curiosa fu che su quel treno leggevo TransEuropa Express di Rumiz e proprio quella mattina ero arrivata al punto in cui l’autore dice che sono le persone a fare il viaggio. È vero. Quella giornata a Toruń sarebbe stata molto diversa senza Helena. Sarebbe stata solo una visita. Invece è diventata un’esperienza umana profondissima che ha travalicato il tempo del viaggio».
Sei una runner e stai anche scrivendo una newsletter per accompagnare la tua corsa verso la maratona di Atene. Ti senti sola in questo viaggio o hai una compagna/un compagno di corsa?
«Percepisco la corsa come un’avventura solitaria. Per me è uno spazio di libertà soprattutto mentale. Il corpo esegue un movimento ripetitivo che a un certo punto diventa quasi meditativo, specialmente nelle corse lunghe della domenica: solo io coi i miei pensieri, la strada, il mare e il cielo. Per questo mi piace correre da sola, ma sola non sono mai davvero. In settimana esco a correre con il mio compagno. Avendo velocità diverse ognuno fa la sua corsa ma corriamo nello stesso posto e ogni tanto ci incrociamo, ci sorridiamo e ci facciamo le smorfie. C’è pure la mia amica Anna che sta a Londra ma conosce ogni mio passo di questa avventura verso Atene e mi sostiene continuamente. Ci crede più di me. E poi ci sono le persone iscritte alla newsletter che stanno seguendo questo viaggio e sono un sostegno grandissimo. E a me serve dire quello che sto facendo, lo fa diventare… più vero».
Il nostro appuntamento con le interviste torna a metà marzo, se ti va di chiacchierare con me, se hai una storia da raccontarmi e senti affinità con i temi che propongo, puoi scrivermi una mail.
Una figlia per amica è una newsletter gratuita che richiede però molto lavoro, se ti va puoi offrirmi un cappuccino o ciò che più ti piace: il mio cuore ricco di citazioni ti sarà riconoscente.
Serena Blasi lavora con le parole, studia e ricerca storie di figlie e di madri nella letteratura, nei film e nelle serie tv e crea percorsi di lettura per scoprire e tradurre le voci delle donne.
Un grazie pieno di affetto ad Alice Fadda per le splendide illustrazioni.
Avere una sorella o un'amica è come sedere di sera in una casa illuminata. Quelli di fuori se vogliono possono guardarti, ma tu non hai nessun bisogno di vederli.
(Marilynne Robinson, Le cure domestiche)
Ha ragione Marina, siete bellissime ❤️
Che bella l’amicizia che ci salva la vita, anche per me è sempre stato così, e anche per questo continuo a cercare nuove persone che facciano un po’ di strada insieme a me… spero che voi sarete tra quelle 💕
Che bellezza 🤍 penso alle mie amiche, quelle che non sento più, quelle nuove, quelle di sempre e quelle di un giorno. Siete belle 🖤