(…) metti a freno il tuo perfezionismo, tacita il tuo senso del dovere socialmente condizionato. Condividi equamente le cure alla bimba. Cosa voglia dire «equamente» dipende da entrambi, e dovrete lavorarci su, tenendo in giusta considerazione le esigenze di ognuno. Non c’è bisogno di interpretarlo alla lettera come un cinquanta-cinquanta o di stilare un registro giornaliero delle incombenze, ma se le cure sono equamente distribuite, te ne accorgi. Te ne accorgi perché non provi risentimento.
(Chimamanda Ngozi Adichie - Cara Ijeawele, ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista)
Nel 2016 mi sono sposata convinta di poter continuare a sentirmi femminista nonostante il matrimonio sia un’istituzione patriarcale.
Perché mi sono sposata? Semplicemente lo desideravo.
Ogni vita è fatta di contraddizioni e di questo non dovremmo mai vergognarci.
Mi sono sposata anche perché ho sempre creduto nelle parole e nel loro potere trasformativo.
Possiamo scegliere di nuotare nelle acque del mare patriarcale a modo nostro, d’altronde è l’unico mare che conosciamo. Una bracciata alla volta, senza affondare.
Non mi sono sposata per raggiungere la mia massima aspirazione; il matrimonio che ho avuto non c’entra nulla con i sogni della me bambina (a cinque anni non desideravo il matrimonio); non ho scelto uno sposo per metter su famiglia e creare l’ambiente idoneo a figli/e; non mi sono persa in organizzazioni stressanti per rendere reale l’aspettativa inarrivabile del giorno più bello della mia vita (l’idea che possa essercene solo uno è già deprimente di per sé).
Sposarci ha significato vivere una festa gioiosa, la nostra.
Qualche tempo fa ho parlato con una mia coetanea a proposito di quotidianità e relazioni di coppia. Lei raccontava di dedicarsi ad alcuni specifici aspetti della sua vita creativa solo nei momenti in cui il compagno doveva allontanarsi da casa per lavoro. Dunque la necessità di riempire la propria sfera intima e privata - portare l’acqua al pozzo, come direbbe Julia Cameron - diveniva predominante solo se messa di fronte ad un vuoto relazionale momentaneo.
È inutile che ci giri intorno, mi sono sentita migliore, e a mio dire ne avevo le prove: leggo quando voglio, ho uno studio dove rifugiarmi, scrivo, esco con le amiche, pianifico weekend.
L’ho giudicata questa donna, essere femminista non significa andare d’accordo con tutte e farsi piacere tutte.
Essere femminista però per me significa non fermarmi alla pancia e pormi delle domande. In seguito ai miei momenti di autoanalisi, ho capito che la necessità di volermi distaccare da questa persona derivava dalla vergogna di essere stata anche io così.
Non ho sempre prestato attenzione alla mia vita interiore, quante volte ho anteposto le esigenze del partner alle mie. La maternità ha reso il cammino ancora più vorticoso, ma non è stato l’unico fattore ad aver influenzato il mio percorso di consapevolezza femminista.
Siamo state educate fin da bambine ad allenare il muscolo del lavoro relazionale: proprio come facevano le nostre nonne e le nostre madri, siamo diventate abili nella gestione dei rapporti sociali degli uomini, delle relazioni con i loro amici e parenti. Spesso non ce ne rendiamo neanche conto.
Il carico mentale deriva anche dal tempo che passiamo a programmare la vita degli altri (figlie, figli, compagni, mariti). Ne abbiamo cominciato a parlare in modo più attivo in Italia grazie alla graphic novel Bastava chiedere! scritta dalla fumettista Emma. L’ho letta nel 2017, quando stavo per diventare madre e ne ricordo ancora la perfetta prefazione di Michela Murgia.
Se gli uomini nella vita vengono sospinti verso un «perché», alle donne si insegna ancora ad agire motivate da un «per chi», senza il quale viene loro detto che le loro vite saranno incomplete, che i loro cuori si inaridiranno, che vivranno egoiste e moriranno sole senza mai sperimentare la pienezza della femminilità (…) Per molte di noi vedersi in questo libro sarà una rivelazione, per altre un dolore, per tutte un’opportunità preziosa: diventare più consapevoli dell’esistenza del dislivello per poterlo affrontare per quello che è, cioè un dato sociale storicizzato e modificabile, non una condizione di natura senza possibilità di scampo.
(Prefazione di Michela Murgia - Bastava chiedere di Emma)
Qual è il confine personale tra cura e prosciugamento interiore?
Quale pozzo interiore stiamo riempiendo quando impieghiamo le nostre energie ad acquistare mutande a fidanzati e mariti?
Transitare in queste riflessioni non significa smettere di prenderci cura delle persone che amiamo, ma porgere l’orecchio ad un teorema essenziale: nelle relazioni - come in tutte le cose - abbiamo bisogno di spazio ed equilibrio.
Forse è questo ciò che accade quando sentiamo di vivere una relazione femminista: il nostro respiro ha valore, non ci sentiamo soffocare, il pozzo interiore non rimane a secco.
Ciò che può rendere un matrimonio frustrante (così come qualunque altra relazione sentimentale) è quel faticoso dislivello che logora le giornate agendo goccia a goccia.
Sono di nuovo costretta a scrivere di notte, durante il giorno non ho un momento di pace; del resto mi avvedo che nessuno si meraviglia o si oppone se rimango in piedi, la sera, dicendo di aver ancora qualche faccenda da sbrigare. Il fatto che soltanto a quest’ora mi riesce di rimanere sola per scrivere mi fa comprendere che adesso per la prima volta, in ventitré anni di matrimonio, io dedico un po’ di tempo a me stessa.
(Alba de Céspedes, Quaderno proibito)
Siamo noi, con le nostre esperienze, che permettiamo alle relazioni di evolvere.
Qualche mese fa ho incontrato una cara amica a Bologna, abbiamo organizzato la reunion dandoci appuntamento a metà strada. Come succede spesso prima di partire lotto tra la parte di me che sente di dover impostare lavatrici e gestire l’agenda dei bambini.
La vita delle donne si traduce spesso in questa mescolanza tra addomesticamento del carico mentale e desiderio di supportare la persona che amiamo.
Come reagisco quando sento quella voce - spiacevole e giudicante - che domanda: «Dove vai? Parti e neanche sistemi casa?»
Reagisco dando un nome a ciò che accade, imparando a stare nelle mie contraddizioni.
Dove mi trovo nella mia relazione? In un punto di confine labile (non c’è nessun dogma) tra le azioni che compio spinta dal desiderio e quelle che somigliano a doveri socialmente condizionati. Ogni piccola conquista implica riconoscimento e fatica, bisogna partire da qui.
A differenza di mio marito, io devo lottare ogni giorno per l’equilibrio. Riconoscerlo ha significato entrare in contatto con un’opportunità preziosa: parafrasando Michela Murgia, è solo divenendo consapevoli del dislivello che si impara a conoscerlo per quello che è. Questa consapevolezza racchiude il germe della trasformazione.
Come non esistono relazioni perfette, così nessuna di noi vincerà il premio per la femminista più coerente. Le nostre vite sono vere, non seguono gli indici dei manuali, si compongono di incastri tra cedimenti, pressioni sociali, istinti, desideri, consapevolezze. Chi vive una relazione femminista sa di dover cambiare per esistere. Il mondo che abitiamo e i legami che tessiamo non sono condizioni di natura senza possibilità di scampo.
Il ricordo
Ho 14 anni e mia madre si sta preparando per uscire. Io sono stesa sul suo letto, abbiamo appena mangiato e la tv è accesa ma nessuna delle due segue la soap opera su Rete 4. Mia madre rovista tra i suoi cassetti e riempie un borsone blu, quello della piscina.
«Non andare mamma, rimani con me».
(Cerco di portare alla luce quella sensazione scavando nella mia mente adulta. Ritrovo il desiderio di volere la mia mamma tutta per me).
Mia madre è titubante, vuole andare in piscina ma si lascia convincere.
(Spesso si lascia persuadere e resta con me. Avrei preferito che lei fosse stata più sicura, decisa nel difendere i suoi momenti di essere. Non lo sapevo all’epoca, non avevo idea di quanto contasse quel tempo altro tutto per sé).
La scintilla
Per un anno ho lavorato in una biblioteca torinese di periferia e uno dei miei compiti da bibliotecaria consisteva nello spolverare e sistemare i libri a scaffale.
Ho imparato in fretta che i libri - proprio come le persone - hanno bisogno di respirare, altrimenti si logorano.
Non è una metafora, se stanno troppo vicini i libri si rovinano, perdono pezzi dalle copertine, prendono pieghe irreversibili.
Lo faccio da allora, ogni tanto li sposto per farli respirare. E permetto a me stessa di lasciarmi contagiare dalla nuova corrente d’aria creata dallo spostamento.
Eccole le domande che agiscono da barometro relazionale. Respiri? Come sta il tuo pozzo interiore? Non c’è una risposta universale ma le scintille che si accendono a partire da questi quesiti sono preziose opportunità di consapevolezza.
Sono Serena Blasi, lavoro con le parole e con i ricordi. Studio e ricerco storie di figlie e di madri nella letteratura, nei film e nelle serie tv e creo percorsi di lettura per scoprire e tradurre le voci delle donne.
Una figlia per amica è una newsletter gratuita che richiede però molto lavoro, se ti va puoi offrirmi un cappuccino o ciò che più ti piace: il mio cuore ricco di citazioni ti sarà riconoscente.
Un grazie pieno di affetto ad Alice Fadda per le splendide illustrazioni.
Prima ero sempre rammaricata quando i ragazzi uscivano e adesso invece desidero che lo facciano per rimanere sola a scrivere. Non avevo mai considerato prima d’ora che, a causa dell’esiguità della nostra casa e dell’orario d’ufficio, io ho raramente occasione di rimanere sola. Infatti sono dovuta ricorrere a un inganno per principiare questo diario (…)
(Alba de Céspedes, Quaderno proibito)
Che meraviglia questo numero, Serena!
Io non sono sposata ma capisco benissimo la dinamica che descrive la tua conoscente, quella della solitudine necessaria alla creatività. Io la famosa "stanza per me" ce l'ho e i miei spazi me li prendo senza problemi, ma l'essere in relazione – ed io pensa che nemmeno hi figli, quindi la relazione è solo col mio compagno – lo vedo, quanto tempo e spazio prende, semplicemente esistendo.
Dico spesso, e ci ho ripensato ora e lo confermo, che i periodi dove la mia conoscenza di me stessa è cresciuta maggiormente sono stati quelli *tra* le relazioni: quelli dove ho dovuto decidere tutto io per me stessa. Dove vado a vivere? Per quale ragione? Cosa faccio?
Stare in coppia è anche compromesso. La libertà che hai da single può essere vertiginosa a volte, ma credo che sia uni degli strumenti di crescita più incredibili che esistano... Ed è anche uno dei più malignati. Specie se sei una donna. Purtroppo
Che domande importanti fai alla fine, come sta il nostro pozzo interiore? Meravigliosa newsletter. Per me, nel tempo, ci sono state risposte diverse alla domanda del tuo titolo: ho un rapporto controverso sia con l'istituzione del matrimonio che con la convivenza tra uomo e donna in una relazione romantica. Con gli anni sto/stiamo trovando la declinazione degli spazi e dei tempi che più ci fa stare a nostro agio, una declinazione che evolve insieme alla nostra crescita personale. Ma quel carico mentale, quel radicato e profondo senso del dover prendersi cura di certe cose, caspita quanto è difficile da alleggerire!