Sfoglio il libro con Lucy in copertina e ho un altro attacco di tosse, anche se non c'è polvere. Vedo paragrafi sottolineati con la matita. Lui diceva che un libro diventava davvero suo attraverso le sottolineature, perché a quel punto in quelle pagine si poteva leggere la sua lettura.
(Lina María Parra Ochoa, La mano che cura)
Anche se ci illudiamo di trovarli, sono i libri ad arrivare a noi. Passano anni a prendere polvere; sono sempre stati lì, poi una mattina, un raggio di sole fuggito dalle tapparelle, ne illumina uno mentre bevo il caffè. Solo allora lo vedo, il libro.
Nello scaffale alto del salone, conservo un volume con la copertina bianca a strisce rosse consumata dal tempo: I Buddendbrook di Thomas Mann, edizione Giulio Einaudi del 1967. Lo apro, un forte odore di scatole e tempo mi arriva alle narici; sulla prima pagina c'è scritto Rosa, in alto destra, con un bel corsivo e la R rotonda. Però questo libro è arrivato a me attraverso mio nonno, è stato lui a parlarmene quando ero bambina e durante i pomeriggi estivi mi raccontava le storie delle opere liriche e mi dava ripetizioni di inglese (era stato interprete per gli americani).
Quando è arrivato il momento di svuotare la casa dei miei nonni, questo libro è venuto via con me, mi ha seguito nelle case che ho abitato. Non l'ho mai letto, ma ho sempre sentito di doverlo tenere vicino; preferisco ripensare alle parole che mio nonno utilizzava per raccontarmelo e a quel sorriso che sapeva fare solo lui: è la storia di una famiglia che cambia nel tempo.
Non ho mai voluto leggerlo per intero perché mi sono convinta che contenesse la verità su mio nonno; pezzi della sua storia rimasta sconosciuta risiedono lì. È un libro amuleto: al suo interno vi conservo una sua foto nel giorno del matrimonio con Rosa e una lettera per lui scritta dalla me bambina.
Mi spiega che le cose dei morti sono eccellenti per fare rituali e incantesimi, perché è come se fossero sospese tra il nostro mondo e quell'altro, quello delle anime, che non è un mondo a sé, ma che esiste mescolato al nostro. (…)
Ho venduto i libri che, a detta dei rivenditori delle librerie dell'usato, valevano qualcosa e ne ho donato la maggior parte all'università dove papà aveva studiato. Ne ho tenuti vari, quelli che volevo per me. E li ho mischiati ai libri di casa mia perché si adattino a una nuova vita, a un posto nuovo.
(Lina María Parra Ochoa, La mano che cura)
A proposito di libri che sanno sempre come raggiungerci, La mano che cura è arrivato a me tramite Paola Natalucci.
La mano che cura è un libro ipnotico che racconta di perdita, libertà e potere.
Cara Paola, cosa ne pensi dei libri amuleto? Ti capita spesso di incontrare libri così? Di avere l'impressione che siano loro ad arrivare a te e non il contrario?
«Ciao Sere, intanto, grazie mille per l’invito e per lo spazio. Che bello, conoscersi tramite le parole, come se fosse ancora il 2005, coi blog!
Quanto ai libri amuleto: assolutamente. Soprattutto negli ultimi mesi, in cui ho dovuto affrontare la malattia della nonna che mi ha cresciuta, e poi il lutto, prima da lontanissimo e poi “solo” da lontano. Ho avuto un po’ di incontri con libri amuleto che parlavano di perdita, rapporti familiari, mamme, nonne, insomma, temi su cui avevo bisogno di riflettere proprio ora.
Uno è appunto La Mano Che Cura, in assoluto quello che mi ha parlato di più; e poi Grande Meraviglia di Viola Ardone, comprato per caso e letto in pochi giorni, ed infine una breve novella argentina, La Luz y la Montaña, di Soledad Urquía. Soledad mi ha ricordato che la meditazione quotidiana è uno strumento che mi aiuta a stare meglio quando tutto va male, e mi ha spinto a ricominciare a meditare ogni mattina, tirandomi fuori dal buio. La Mano che Cura e La Luz y la Montaña li avevo sul radar da mesi, ma non riuscivo mai a leggerli… Ho la forte sensazione che stessero lì, in attesa di apparire quando avrebbero potuto darmi la cura di cui avevo bisogno.
Nel periodo più intenso di ospedale e voli continui, questi libri sono stati un aiuto prezioso, e le autrici che li hanno scritti, Lina, Viola e Soledad, mi rimarranno un po’ sempre nel cuore, come tre piccole curanderas».
Questa rubrica nasce per creare uno spazio in cui si riflette tra amiche sul significato di cose che ci avvicinano e differenziano. Sei via dall'Italia da più di 16 anni, in questo tempo lungo cosa è cambiato per te nel modo di pensare e coltivare l'amicizia, in particolare quella femminile?
«Per me, l’amicizia è una delle mille forme che può prendere l’amore, forse una delle più nobili, perché fondata sulla voglia di stare insieme e condividere la vita, senza essere animata dal desiderio, come capita con l’amore romantico.
Elif Şafak, un’altra delle mie scrittrici-sorelle, parla di famiglia d’acqua, che in opposizione alla famiglia di sangue, è quella che hai facoltà di scegliere, curare e costruire durante la tua vita adulta. Per me è sempre stata importante, perché tutta la mia vita adulta l’ho passata lontana o molto lontana dalla mia famiglia di sangue.
Credo che qualunque migrante possa capire di cosa sto parlando: tra straniere, ci si dà una mano, perché la famiglia d’origine è troppo lontana, ma anche perché se la famiglia di origine non è mai emigrata, anche con molta empatia, potrà cogliere tutta una serie di questioni solo fino a un certo punto.
L’amicizia è cura. Io ne ho ricevuta da molte amiche e amici: può essere data in maniera concreta, se si è vicine – ti cucino o ti porto le medicine se sei malata – o a livello di presenza emotiva e simbolica, come capita con amiche lontane che magari vedo raramente, ma con cui la conversazione è praticamente costante.
Col tempo mi sono accorta che le amicizie vanno a cicli, come la vita: a volte le persone scompaiono, perché… la vita. A volte ricompaiono. A volte, no. Io ho smesso di prenderla sul personale, con gli anni: la mia idea è che chi è destinata a rimanere, lo farà. L’amicizia, come l’amore, deve fluire senza spingere, né soffocare. È un approccio un po’ taoista, forse, ma il passare degli anni mi ha dimostrato che non serve affannarsi. Serve molto di più accettare quel che accade. Non ci può essere alcuna forma di obbligo o costrizione, se no, che amore è?»
“Espatriata seriale con uno zainetto e troppi libri”, su Substack ti definisci così. Di case ne avrai viste tante, in questo spazio i racconti di case e luoghi della memoria tornano spesso. Ti chiedo allora se c'è una casa della tua memoria che ti capita di rievocare, nei sogni, nella scrittura o altrove. C'è una casa del tuo cuore che ti va di condividere con noi?
«Sono due: quella di Bangkok, e quella di Istanbul.
Quella di Bangkok non perché fosse la più bella, anche se lo era. Parlo di lei perché è stato un luogo di trasformazione e protezione, dove ho potuto tornare a me stessa sentendomi al sicuro, dove essere crisalide quando serviva, dopo la rottura di una storia durata troppo tempo. Lì è dove ho riscoperto chi ero, con calma, e con le mie amiche e amici intorno. La casa di Bangkok, e Bangkok stessa. Anche Bangkok è casa.
Quella di Istanbul, perché è stata la prima. Era piccola. Vivevo con un professore curdo. C’era il parquet inchiodato e vecchio che scricchiolava a ogni passo, e dal cocuzzolo, fuori dal portone, uscivi e vedevi il Bosforo, alla fine della discesa. È stata la mia prima casa fuori da quella di famiglia, e il luogo in cui la mia vita ha basculato, perché ho capito che non volevo tornare in Italia a fine periodo turco, ma piuttosto, andare più in là e conoscere ancora altre fette di mondo».
Il nostro appuntamento con Taglia e cuci torna a settembre; nel frattempo, se ti va di chiacchierare con me, se hai una storia da raccontarmi e senti affinità con i temi che propongo, puoi scrivermi una mail.
Sono Serena Blasi, lavoro con le parole e con i ricordi. Studio e ricerco storie di figlie e di madri nella letteratura, nei film e nelle serie tv e creo percorsi di lettura per scoprire e tradurre le voci delle donne.
Una figlia per amica è una newsletter gratuita che richiede però molto lavoro, se ti va puoi offrirmi un cappuccino o ciò che più ti piace: il mio cuore ricco di citazioni ti sarà riconoscente.
Un grazie pieno di affetto ad Alice Fadda per le splendide illustrazioni.
Bisognerà riflettere su come e quando le parole scappano dai libri e i libri finiscono per apparire sepolcri vuoti
(…)
Le parole fanno viaggi imprevedibili nella testa di chi legge.
(Elena Ferrante, La frantumaglia)
"L’amicizia, come l’amore, deve fluire senza spingere, né soffocare": quanta verità!
Che bella questa puntata di Taglia e Cuci! Mi ha emozionato tutto il discorso sull’amicizia e soprattutto la frase “L’amicizia è cura” 💖